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Teatro Civile

Madri della Repubblica

Testo di Maria Antonietta Centoducati

Arrivavano ai seggi con il vestito buono della festa, emozionate, come succede per un appuntamento importante, decisivo. Quel 2 giugno del ´46 le donne votano per la prima volta e sono oltre dodici milioni. Un diritto, un adempimento ovvio per la democrazia, eppure una conquista difficile, inseguita fin dai primi movimenti femministi del Novecento. Per le donne il salto è doppio: votano e possono essere votate. Lo spettacolo ripercorre le tappe del voto alle donne attraverso testimonianze dell’epoca e si sofferma su alcune figure femminili come Nadia Gallico Spano che, entrata nell’emiciclo, indossa «un vestito nuovo nuovo» e non teme di sentirsi bella. Donne combattenti della Resistenza, antifasciste, che del coraggio hanno fatto una bandiera. C’è Angela Guidi Cingolani, prima donna in assoluto che prenderà la parola in Parlamento. Teresa Mattei, la «maledetta anarchica» secondo Palmiro Togliatti, «ardita come un uomo». Oppure Rita Montagnana che «alla giusta causa della rivoluzione dedicherà tutta l’esistenza». Nilde Iotti, la deputata di Reggio Emilia, diventata presidente della Camera. Donne di valore, coraggio e intelligenza che riuscirono a far capire agli uomini l'importanza di inserire le donne nei processi democratici, come elemento fondamentale di sviluppo per un popolo.

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Mi chiamo Costituzione

Testo di Maria Antonietta Centoducati

La Costituzione, questa sconosciuta…o questa conosciuta? Quanto sappiamo della nostra Costituzione? Questo spettacolo vuole raccontare i principi essenziali contenuti in alcuni articoli di questo importante documento. Gli attori M. Antonietta Centoducati e Gianni Binelli danno vita e voce alla Costituzione attraverso i suoi articoli in modo diverso e divertente. La Costituzione è una signora un po’ nostalgica e annoiata e osserva il mondo con ironia. Che ne è stato dei suoi Articoli? Che fine hanno fatto? Chi li conosce? Un modo inedito e allegro di scoprire la Costituzione Italiana ma anche di riflettere su cosa significhi davvero la legge fondamentale su cui si basa il nostro ordinamento e di cui tutti parliamo senza, in alcuni casi, conoscerla a fondo. Divertente e ironico, lo spettacolo procede con brevi dialoghi e monologhi accompagnati dalla musica dal vivo del M° Ovidio Bigi

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Due eroi italiani

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone - Testo di Maria Antonietta Centoducati

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due giudici siciliani che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro la mafia. Di loro si racconta infatti che quando erano ancora adolescenti giocavano a pallone nei quartieri popolari di Palermo e che fra i loro compagni di gioco c'erano probabilmente anche alcuni ragazzi che in futuro dovevano diventare uomini di Cosa Nostra. Forse proprio il fatto di essere siciliani, nati e cresciuti a contatto diretto con la realtà di quella regione, fu la loro forza: Falcone e Borsellino infatti capivano perfettamente il mondo mafioso, capivano il senso dell'onore siciliano e capivano il linguaggio dei boss e dei malavitosi con cui dovevano parlare. Per questo sapevano dialogare con i "pentiti" di mafia, sapevano guadagnarsi la loro fiducia e perfino il loro rispetto. Ma il 23 maggio 1992 - con un attentato spettacolare - la macchina di Falcone viene fatta esplodere sull'autostrada che collega Palermo e Trapani: 500 chili di tritolo che tolgono la vita a Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e a tre agenti di scorta. Quando Falcone salta in aria, Paolo Borsellino capisce che non gli resterà troppo tempo. Lo dice chiaro: “Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me”. Il 19 luglio dello stesso anno un'autobomba esplode sotto casa di sua madre mentre Paolo Borsellino la sta andando a trovare. Il magistrato muore con tutti gli uomini della scorta. Maria Antonietta Centoducati e Gianni Binelli ne ricostruiscono le tappe essenziali della loro vita anche attraverso i ricordi e le testimonianze di Maria Falcone e altri personaggi che hanno conosciuto e ammirato i due giudici. Ad accompagnare le parole, la musica dal vivo del pianoforte di Ovidio Bigi.

E venne l'alba della Repubblica

Testo di Maria Antonietta Centoducati Musiche al piano: Ovidio Bigi

Il 2 giugno 1946, si svolse il referendum per scegliere quale forma di governo dare al paese: Monarchia o Repubblica. Vinse la seconda. All’Assemblea costituente il compito di scrivere la nuova Costituzione. Ma questo sogno di democrazia e libertà si è potuto realizzare grazie a uomini e donne che hanno lottato per ottenerle ed è attraverso le loro voci che inizia lo spettacolo “E venne l’alba della Repubblica”. Gli attori Maria Antonietta Centoducati e Gianni Binelli accompagnano lo spettatore in un viaggio interessante e accattivante sul significato autentico della nostra Repubblica. Un percorso che si snoda attraverso le storie di chi ha lottato con coraggio durante gli anni della Resistenza, di chi visse quei giorni del Referendum con emozione, la voce dei poeti e degli scrittori. Accanto al passato però, non manca il presente: gli attori hanno intervistato diversi giovani chiedendo loro quale sia il significato della Nascita della Repubblica, i testi che verranno recitati ci fanno capire di quanto siano fortemente sentite le tematiche legate al senso civico e alla legalità.

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Il sorriso di Elettra

Storie di donne in lotta con la Mafia - Testo di Maria Antonietta Centoducati

La mafia e le donne. Donne ribelli che irrompono nella vita collettiva con il loro grido, che è insieme dolore, speranza e domanda di giustizia, donne senza paura che vogliono vendetta, giustizia, verità. Lo spettacolo si snoda in una serie di sei monologhi/testimonianza di donne che sono vissute all’ombra della terribile piovra chiamata Mafia e che ci raccontano le loro vicende puntando l’attenzione sulla loro fragilità e forza di donne, sui sentimenti, sulla paura, sugli aspetti più umani delle loro vicende. Ed ecco allora che sulla scena sfilano Giusy Vitale, collaboratrice di giustizia che vuole uscire dall’unico mondo che conosce, quello di una famiglia della mafia siciliana. Diversa invece la testimonianza di sua sorella Antonina-Nina-Vitale, la sorella debole, la remissiva, sempre obbediente ai fratelli e alla famiglia. Margherita Petralia, moglie del padrino di Paceco, in Sicilia, che ha consegnato un diario con annotati i crimini del marito e dei suoi affiliati mandandoli in galera. Piera Aiello a cui ammazzarono il marito e lei, per tutta risposta, spedì tutti in carcere diventando collaboratrice di giustizia. Rita Atria, sorella di un giovane boss dello spaccio, diciassettenne collaboratrice di Borsellino, che si suicida dopo la strage di Via d’Amelio. E infine Elettra, di lei si conosce soltanto il suo nome e la sua età:14 anni. Per amore, si è fatta uccidere al posto del suo innamorato, uno dei tanti “carusi” che vogliono un posto di rilievo nella mafia che conta. Per lei solo un piccolo trafiletto sul giornale.

La mafia addosso:i giorni del coraggio

Rita Atria e Paolo Borsellino - Testo di Maria Antonietta Centoducati

Rita Atria è una giovane donna coraggiosa, che ha sfidato Cosa Nostra e la sua stessa famiglia. Si è tirata fuori dall’asfissia mafiosa collaborando con la giustizia. Ha perso i suoi affetti. E’ stata costretta a vivere isolata, ma non è mai tornata indietro nella sua scelta di legalità e giustizia. Rita, “Rituzza” come veniva chiamata, è morta sola. Ha deciso di togliersi la vita pochi giorni dopo la strage di via D’Amelio a Palermo. Con Paolo Borsellino aveva stretto un rapporto umano, molto stretto. Il magistrato palermitano era diventato per Rita un appoggio, un punto di riferimento. Con la morte di Borsellino, Rita è sprofondata nella solitudine in una città, Roma, dove non poteva avere alcun legame. Il 26 luglio del 1992 Rita decise di farla finita. Fu una sconfitta per lo Stato incapace di proteggere una ragazza innamorata della giustizia. Paolo Borsellino è stato per Rita un secondo padre. Lo spettacolo è articolato in dialoghi tra i due protagonisti e monologhi. Una testimonianza forte e intensa per non dimenticare il coraggio e l’esempio della “picciridda” dell’antimafia e del giudice Borsellino. La musica dal vivo a cura di Ovidio Bigi evoca e sottolinea ancora più fortemente l’emozione del testo.

La morte del figlio

Testo di Maria Antonietta Centoducati

Felicia Impastato era la madre di Peppino Impastato, il militante di estrema sinistra che venne ucciso dalla mafia a Cinisi, in provincia di Palermo, il 9 maggio 1978. Felicia ebbe un ruolo determinante e appassionato nella lunga ricerca della verità sull’assassinio di suo figlio, per tanti anni fu il suo unico scopo. È così che decide di costituirsi parte civile nel processo, dichiarando di volere, per suo figlio, giustizia e non vendetta. Gli attori Maria Antonietta Centoducati e Gianni Binelli portano in scena la storia di Felicia Bartolotta Impastato, una madre forte e determinata nel perseguire giustizia e verità per il figlio assassinato, Felicia è fiera e sa che deve combattere fino alla fine. La struttura dello spettacolo è costituita da diversi momenti: Felicia racconta ai giudici e alla Corte, al pubblico e agli spettatori quello che è avvenuto dal 1978 al 2000: dalla morte di suo figlio Peppino, ai tentativi di farlo passare per suicida terrorista, dai depistaggi, alle morti violente dei giudici, alla sua implacabile ostinazione di madre nel credere nella giustizia. Il suo racconto è interrotto, a tratti, da flash back e dialoghi con il figlio Peppino. Alla voce degli attori si unisce quella del pianoforte, con il M°Ovidio Bigi che ha composto la colonna sonora dello spettacolo.

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